Si olia la catena tra le ruote, si spezza la catena dei padroni!

Il “nuovo” che avanza, l’oscuro e diabolico universo della Gig Economy, miete lentamente le proprie vittime in un turbinio di servitù volontaria e autodisciplina. Il Moloch del capitalismo si evolve in moderne, avanzate ed ammiccanti forme di sfruttamento che cercano di piegare sempre di più la classe lavoratrice, spremendola come un limone allo sbocciare della primavera. Tuttavia sono in molti coloro che negli ultimi mesi hanno rifiutato di farsi mettere i piedi in testa e, al contrario, hanno preso la decisione di incrociare i propri in segno di protesta. È il caso dei riders di Deliveroo, fattorini in bicicletta inquadrati come collaboratori autonomi, che da quando la multinazionale londinese è sbarcata nel nostro paese si sono organizzati e, soprattutto nel quel di Torino, hanno dato alla controparte un gran bel grattacapo.
Il 20 marzo, così come il primo maggio dello scorso anno, i ciclo-fattorini torinesi hanno dichiarato lo stato d’agitazione, rifiutando di volta in volta gli ordini assegnati dalla piattaforma digitale ed attuando il blocco del servizio. Insomma, hanno scioperato. Le ragioni di questa mobilitazione vanno ricercate nelle condizioni effettive nelle quali si trovano i lavoratori che operano in questo settore. Fino al sorgere del nuovo anno il metodo di retribuzione che riguardava la flotta di Deliveroo Torino consisteva unicamente in una paga oraria di 5,60 euro netti, alla quale andavano ad aggiungersi 80 centesimi per consegna effettuata. Un compenso irrisorio per chi regolarmente scende in strada mettendoci i propri strumenti di lavoro ed affrontando le intemperie senza tutele né garanzie. Le ferie pagate restano un lontano miraggio, così come i riposi settimanali, la mutua, un’assicurazione trasparente che fornisca una copertura adeguata, il diritto di rappresentanza sindacale, e così via.
Tutto questo in virtù del fatto che la dipendenza materiale espressa dal rapporto di lavoro non corrisponde a ciò che è formalizzato nel contratto. A essere sbandierate sono un’autonomia ed una flessibilità di fatto inesistenti nella giornata tipo di un lavoratore di Deliveroo. Basti pensare che per la ricezione degli ordini ed il compimento delle consegne per una delle tante aziende “smart” in giro per il globo, è necessario l’utilizzo di un’applicazione per smartphone, attraverso la quale si effettua il login. Un algoritmo, progettato secondo le direttive aziendali, determina totalmente i ritmi di lavoro nonché l’organizzazione del lavoro stesso. Il controllo è continuo ed invasivo. Tutti i fattorini sono perennemente geo-localizzati, vale a dire seguiti e tracciati passo per passo mediante il sistema satellitare, come se indossassero un braccialetto elettronico.
L’azienda, sulla medesima scia della vicina Foodora, è giunta perfino a introdurre la forma di pagamento a consegna. In parole povere, il famigerato cottimo! Questa volta, però, essa fa la comparsa in modo più subdolo, ossia come opzione di scelta per coloro che già pedalavano, imponendosi invece come unico regime possibile per tutti i neo-assunti dal 20 febbraio in poi.
Ovviamente questo processo è stato spinto dal padronato con estrema naturalezza. La dirigenza ci ha tenuto a dare aria alla bocca rimarcando quanto il cambiamento fosse in realtà a vantaggio del lavoratore, e introducendo persino dei bonus validi per l’anno corrente al fine di incentivare il passaggio. Tutto lascia intendere che nel giro di poco tempo la paga oraria fissa sia destinata a svanire nel nulla. Intanto l’esperienza ci insegna come il cottimo sia esclusivamente funzionale al profitto dei padroni. I fattorini sono, di fatto, costretti a ritmi lavorativi sempre più frenetici e insostenibili, giacché non è più pensabile rifiutare a cuor leggero un ordine per spossatezza o altre necessità, perché questo significherebbe non guadagnare affatto. Aumentare progressivamente la propria velocità di marcia, con tutti i rischi che ne conseguono, si rivela essere invece indispensabile se si vogliono completare il maggior numero di consegne nel più breve tempo possibile. Stiamo in fondo parlando di una specie di videogame, nel quale i partecipanti vengono messi in competizione l’uno con l’altro. Questa volta in gioco c’è la vita dei lavoratori, il cui tempo, con l’avvento del cottimo, non è più pagato, non ha più alcun valore.
A fomentare l’animarsi delle proteste sfociate nello sciopero del 20 marzo, è stata finanche l’introduzione di una nuova modalità di prenotazione e assegnazione dei turni lavorativi. Per la prima volta si evidenziano elementi dapprima ignorati o sconosciuti come il ranking, la valutazione, la scala meritocratica tra i vari riders sulla base della propria prestazione lavorativa. Entrano in gioco delle specifiche fasce orarie, più o meno privilegiate, il cui accesso è vincolato dal grado di “affidabilità” (o meglio, di docilità!) del singolo lavoratore. Quest’ultimo ha la possibilità di aumentare il proprio punteggio in graduatoria rendendosi disponibile a coprire una maggiore percentuale di sessioni nei weekend, cioè quando la mole di ordini è maggiore, o altresì non scollegando mai l’App durante un turno lavorativo. A coloro cui è riservata la fascia d’accesso più sfortunata potrebbero addirittura spettare zero ore lavorative disponibili, il che si traduce in zero euro percepiti.
Con queste premesse chiarificatrici spero risulti più semplice per il lettore comprendere in quali acque questi “collaboratori” si sono ritrovati a dover galleggiare. Ed ecco che la calma piatta si fa maremoto. Durante l’interruzione del servizio cui accennavo precedentemente, viene rispedita una lettera di rivendicazioni formulata dall’assemblea dei riders. All’interno del documento spiccava, cito quasi testualmente, la richiesta di una “ridistribuzione settimanale ed equa delle ore lavorative tra tutti i riders, oltre che una rivisitazione del sistema di assegnazione turni in modo tale da garantire un monte ore minimo di 15 ore settimanali ad ogni fattorino che ne facesse richiesta, con la prerogativa assoluta che nessun* restasse senza nemmeno un’ora di lavoro”.
Intanto dall’altra parte della barricata il silenzio regna sovrano. La mancata reazione da parte dei vertici a Milano diviene assordante oltre che irritante. Il giorno successivo alla protesta una dozzina di lavoratori rompe nuovamente il silenzio recandosi in blocco allo sportello riders, unica occasione rimasta per ottenere un colloquio fisico che spezzi l’ordine virtuale. I fattorini dichiarano di non essere intenzionati a lasciare lo spazio in assenza di risposte soddisfacenti. Gli inviati da Milano, nonostante l’insistenza nella negazione di un confronto diretto e la pretesa di considerare i riders come singoli interlocutori disconoscendo ogni istanza collettiva presentata dagli stessi, si ritrovano travolti dalla più che giustificata pressione generale, che li porta a promettere di contattare i propri superiori. Ma una volta richiesto ai lavoratori di allontanarsi momentaneamente dalla stanza, anziché telefonare ai propri responsabili, questi chiamano un taxi in fretta e furia e se la danno letteralmente a gambe. Lo sportello torinese viene così annullato, anche per coloro che avrebbero dovuto tenere il colloquio d’assunzione nel pomeriggio, e che perciò si sono visti contattare via mail e spedire tutto il materiale da lavoro (box termico, divisa, caricabatterie portatile, ecc.) direttamente al proprio indirizzo di casa.
Il tempo passa inesorabile e lo sportello riders a Torino non viene ripristinato. La rabbia cresce ed insieme ad essa anche il desiderio di rivalsa. Venerdì 13 aprile, una trentina tra ciclo-fattorini, precari e solidali decidono dunque di entrare nella sede di Deliveroo Italia nell’orario dello sportello riders di Milano, pretendendo risposte. Comincia così l’occupazione degli uffici e una nuova giornata di lotta.
Quasi all’istante fa la sua comparsa nella struttura Matteo Sarzana, General Manager di Deliveroo Italia. A proteggerlo pompatissime guardie private, che con il ticchettare delle lancette d’orologio aumenteranno progressivamente di numero. Subito traspaiono il nervosismo e l’imbarazzo negli occhi e nelle espressioni del padrone, ma non è certo l’eccezionalità della situazione a giustificare alcune delle sue dichiarazioni successive: “Se non vi piace questo lavoro potete anche non lavorare”, oppure: “La mia professione è più precaria della vostra”.
È tutto fin troppo chiaro ai presenti: Non ci sono margini di trattativa. O si china il capo e si pedala per una miseria, o si rescinde il contratto di collaborazione. Intanto giunge sul posto una volante della polizia, poi la digos e infine l’antisommossa. Trascorrono i minuti e i lavoratori reclamano il diritto di assemblea. Nel frattempo alcuni solidali accorrono in appoggio alla protesta; aumentano i blindati e la celere si schiera. Numerosi passanti sull’altro lato della strada ed alcune famiglie affacciate alle finestre di casa applaudono gli occupanti a sostegno della loro causa. All’interno, invece, i dispatcher (chi sovrintende all’assegnazione degli ordini) non condividono il malcontento, indossano la maschera dell’indifferenza e continuano a digitare sul proprio Mac come se niente fosse.
Pian piano cresce la tensione, si susseguono spintoni e provocazioni da parte dei guardioni che tentano di spingere tutt* all’esterno degli uffici. Si resiste fino a che lo sgombero non arriva al suo momento clou, documentato tra l’altro da un video riportato sulla pagina facebook di Deliverance Project, uno dei portali utilizzati per la narrazione delle lotte dal punto di vista di chi le porta avanti. Tra botte e bastonate, dunque, sia riders sia solidali vengono cacciati dalla sede. Gli sbirri dello Stato esercitano ancora una volta il monopolio della violenza. Un ragazzo gode del “privilegio” di essere ferito alla testa da un colpo di manganello. Le proteste proseguono per un altro po’ fino a che non ci si scioglie in corteo.
Nel frattempo la magistratura torinese ha dato ragione a Foodora nel merito della causa intentata contro l’azienda tedesca da sei ex-fattorini, che in occasione delle proteste anti-cottimo dell’autunno di due anni fa furono brutalmente tagliati fuori. Una sentenza che rifiuta di riconoscere il rapporto di subordinazione dei lavoratori delle consegne a domicilio nei confronti della startup. Una tappa che ancora una volta contribuisce a cristallizzare gli attuali rapporti di forza a noi sfavorevoli, ma che crea altresì un precedente a parer mio importante, capace di rappresentare un punto di svolta nel mondo del lavoro: l’allarmante normalizzazione di prestazioni sempre più sfruttate e sempre meno dignitose, accompagnata dal tentativo di pacificare e armonizzare il rapporto tra Lavoro e Capitale, in un contesto di profonda trasformazione economica.
Detto ciò, la consapevolezza che la giustizia non vada ricercata nelle aule di tribunale cresce costantemente nei principali spazi d’aggregazione e di assemblea dei fattorini in lotta. A distanza di soli due giorni dallo sgombero di Milano, si è tenuto a Bologna un incontro nazionale dei riders. Un’occasione di rilievo per fare la conoscenza di nuove realtà, condividere esperienze, tentare di organizzarsi in mobilitazioni coordinate tra lavoratori in giro per l’Italia e per l’Europa.
Deliveroo, Foodora, Just Eat, Glovo, Sgnamm…A cambiare è il colore sgargiante delle divise dotate d’inserti catarifrangenti. Resta invece invariata la condizione di estrema precarietà nella quale i fattorini del food-delivery sono costretti giorno dopo giorno, tra una volata e l’altra per le vie trafficate del grigiume cittadino. Il futuro è nebuloso e spesso fa paura. Il conforto lo si trova esclusivamente tra le pieghe del filo rosso della solidarietà attiva tra gli sfruttati; nella lotta comune che mira a contrastare l’imposizione della logica atomizzante, e a trasformare in modo concreto e radicale uno stato di cose che non deve persistere. È continuando ad esercitare una tenace pressione dal basso che possiamo ambire a delle conquiste. Siamo profondamente convinti che sia questa la via maestra per strappare a chi si arricchisce sui nostri immani sforzi, migliori condizioni di vita e di lavoro.
S.D.

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